Perché “LetterE a una professoressa”?
Perché abbiamo un debito nei confronti di don Lorenzo Milani e della sua scuola di Barbiana.
Usiamo il plurale perché riteniamo che ci siano le condizioni tecnologiche e sociali per dare voce non ad una classe o ad una singola scuola, ma ad una platea di studenti o ex-studenti molto più ampia.
Perché intendiamo rendere ragione di un disagio scolastico (e non solo) sempre più diffuso che non trova canali di espressione mediatici che non siano quelli dell’invettiva e dello sfogo personale sui social network, ma del ragionamento anche fortemente critico e aspro, ma mai personalistico.
Perché buona parte delle ragioni che indussero all’esperienza della Scuola di Barbiana restano ancora valide e per alcuni versi si sono rafforzate: la scuola continua in gran parte a “curare i sani ed a respingere i malati”; non funziona come ascensore sociale; riproduce nei suoi diversi indirizzi le stratificazioni sociali; le condizioni di partenza degli studenti sono ancora diseguali e la scuola non riesce a ridurle.
A queste ragioni se ne sono aggiunte di nuove e non meno gravi. Ne citiamo solo alcune:
l’aumento esponenziale degli studenti di origine straniera non trova risposte adeguate nonostante le buone intenzioni e la buona volontà; la burocratizzazione della didattica che dichiara la personalizzazione della didattica, ma la smentisce subito dopo attraverso la riconduzione delle persone all’interno di classificazioni formali (BES; NAI; DSA;DVA…) che riducono la persona alla propria classe di appartenenza. Alcuni sostengono che si stia verificando una medicalizzazione della condizione studentesca ed i docenti siano assimilabili a medici specialisti/tuttologi che vedono l’organo da curare e non la persona nella sua completezza; la globalizzazione riproduce su scala più ampia ed acuisce le disuguaglianze scolastiche, sociali ed economiche; le nuove tecnologie sono largamente sottoutilizzate nella diffusione dell’istruzione. Ma la cosa più grave di tutte che avvertiamo è il disinteresse sociale verso la scuola che non risulta più fra le nostre priorità.